21 ago 2014







"L'Italia sbaglia: in Iraq le armi sono troppe"
Cecilia Strada boccia la linea del governo

L'Italia sbaglia: in Iraq le armi sono troppe 
Cecilia Strada boccia la linea del governo "E' armando il meno peggio abbiamo creato i talebani: ora serve forza di interposizione Onu". La presidente di Emergency si schiera contro la spedizione di artiglieria ai curdi. E propone le trattative con le milizie jihadiste

di Luca Sappino






Cecilia Strada delle armi conosce soprattutto l’effetto che fanno sui corpi. Le ferite. Poi sa quanto allontanino la pace. All’Espresso, la presidente di Emergency ricorda che «la strategia “armiamo il meno peggio”, o l’avversario del nemico di turno, ha creato i talebani». Aggiunge così la sua voce a quella della Rete del Disarmo e a quella del presidente delle Acli Gianni Bottalico, che nelle ultime ore sono intervenuti contro l’idea di inviare armi in Iraq, ai curdi, contro lo Stato islamico.


I ministri degli Esteri e della Difesa, Mogherini e Pinotti, stanno però lavorando al progetto, portando a casa l'approvaziome delle commissioni parlamentari competenti, riunite in seduta comune. Contrari Sel e Movimento 5 stelle, con la benedizione della maggioranza, il carico dovrebbe partire in pochi giorni. «Armi leggere», dice Roberta Pinotti: mitragliatrici e fucili mitragliatori, con relative munizioni, dismessi dalle nostre forze armate, i vecchi Browning e gli Mg, e razzi anticarro e altre armi sequestrate nel 1994 ad una nave da trasporto diretta a Spalato. «Non è con quelle armi che si apre un corridoio umanitario», è però l'idea di Cecilia Strada. L’alternativa è «una forza di interposizone dell’Onu». Ma prima bisognerebbe smettere di chiedersi «come mai c’è la guerra?». «La guerra in Iraq c’era anche la settimana scorsa, e anche quella prima. Da quando la missione militare è stata dichiarata conclusa, da quando abbiamo “esportato la democrazia” ci sono state centinaia di morti ogni mese». Insomma, «In Iraq ci sono troppe armi, non troppo poche. Chiediamoci anzi da dove sono arrivate quelle dei tagliatori di teste. Forse risaliremmo proprio ai governi amici».

Emergency è su molti fronti di quella che Papa Bergoglio ha chiamato la «terza guerra mondiale». E' in Iraq, ma non è a Gaza: «Anche se Emergency non lavora in Palestina, cosa che non escludiamo di fare prossimamente, io mi sento coinvolta» continua Strada. «Come italiana, come fornitore di armi a Israele, come paese che ospiterà le esercitazioni dei caccia israeliani in Sardegna, come cittadina di un governo che non riesce a chiedere a un esercito regolare amico di non commettere crimini di guerra».




Intervista a :        CECILIA STRADA
 
Cominciamo da Gaza, dove la tregua è finita in anticipo rispetto all’ultimo rinnovo. Arenate le trattative al Cairo. Cosa succede, cosa farà Emergency?
«Gaza è uno dei fronti su cui non siamo. Non ancora. Ci siamo messi a disposizione della Sanità locale e non escludiamo di andare presto nella Striscia. Per ora Emergency è nella repubblica Centrafricana, in Iraq, dove siamo dal 97, e in Afghanistan, dove ogni mese c’è un nuovo record di feriti. La Palestina è un'enorme prigione, e finché ci sarà l’assedio, il controllo dell’acqua, della terra, del mare, ci sarà guerra. Non siamo lì come Emergency ma io mi sento coinvolta. Come fornitore di armi a Israele, come paese che ospiterà, in Sardegna, le esercitazioni dei caccia israeliani. Come cittadina di un governo amico trovo gravissimo quello che un esercito regolare violi decine di articoli della convenzione di Ginevra».

Papa Francesco ha evocato una «terza guerra mondiale», ma «combattuta a pezzetti». Se è così, voi la combattete da tempo.
«Non so se sia terza guerra mondiale, ma sicuramente è guerra ovunque. Faccio fatica a ricordare estati così sanguinose. Ci sono i fronti che vengono raccontanti, e altri dimenticati».

Nella maggioranza di governo, c’è chi ha fatto un passo in più. Dice Fabrizio Cicchitto, di Ncd: «Se c'è, come dice il Pontefice, una sorta di terza guerra mondiale a pezzetti, questa è quella dichiarata e fatta dal terrorismo islamico, in primo luogo contro gli altri islamici, quelli moderati e responsabili».
«Non starei dietro a quello che dice Cicchitto. Ma che i moderati, i civili, nei paesi in guerra siano le prime vittime è sicuro. Lo sono però tanto degli estremisti, quanto degli interventi esterni, militari, “democratici”. Quando bombardi, quando occupi un territorio, il primo effetto che ottieni è radicalizzare la popolazione, dare potere proprio agli estremisti che dici di voler combattere, togliendo l’ossigeno, e spesso la casa, o la vita, alla società civile».

In Iraq sembra si debba ricominciare da zero.
«Strano, no? È esattamente quello che diciamo da tempo. Quello che stiamo vedendo è la conseguenza della democrazia esportata con la guerra».

Qual è l’alternativa all’invio delle armi in Iraq?
«L’alternativa è non inviare armi in Iraq. Punto. Trovo sconcertante che l’unica risposta che i governi del mondo sanno dare ai conflitti è la stessa, da anni e anni. È sconcertante perché quelli che si candidano e dicono di voler portare la pace sono i responsabili del macello, perché è proprio la presenza di armi che permette ai diversi gruppi di fare la guerra. In Iraq non ci sono poche armi. Ce ne sono troppe. Ed è la strategia “armiamo il meno peggio”, o l’avversario del nemico di turno, quella che ha creato i talebani».

Ma allora che si fa?
«Più che mandare in Kurdistan vecchie armi, quasi moschetti, dovremmo valutare una forza di interposizione Onu. E poi in questi giorni sto pensando molto a quello che Giovanni Falcone diceva della mafia: bisogna seguire i soldi. Vale anche per la guerra. Come si finanziano questi taglia gole? Forse scopriremmo contatti con i  governi amici».

L’armamento è un’azione militare? Stiamo entrando in guerra?
«È guerra, ma più disimpegnata».

Nel dibattito di questi giorni è utile una definizione. Chi sono i terroristi?
«Se dopo un atto di violenza la popolazione civile superstite è terrorizzata, quello è terrorismo. Bisogna guardare gli effetti. Se le conseguenze sono civili massacrati, fame, malattia, miseria, infrastrutture devastate, allora è terrorismo. Lì devi intervenire, e non c’è differenza se il terrorista ha il turbante nero o una divisa regolare. È terrorismo anche bombardare un villaggio in Afghanistan. Il punto però è sempre lo stesso: nelle guerre moderne a morire sono soprattutto i civili».

Le milizie jihadiste cosa sono, interlocutori o terroristi e basta?
«Non ho seguito la polemica sul post di Di Battista. Non ne ho capito il senso perché, senza voler dare alcun tipo di giustificazione, in guerra la pace va fatta col nemico, altrimenti non è pace. Da anni si dice questa cosa, “Non si tratta con i terroristi”: ma allora con chi trattiamo, come si risolvono i conflitti? Non si risolvono. Per quanti anni gli americano hanno detto “noi non trattiamo”? E cosa stanno facendo, dopo tredici anni in Afghanistan? Guidano negoziati paralleli».


fonte: L'Espresso   http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/08/20/news/l-italia-sbaglia-in-iraq-le-armi-sono-gia-troppe-terroristi-la-pace-va-fatta-con-il-nemico-1.177304?ref=HEF_RULLO

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