8 mag 2015

Sandra Amurri oltre il bavaglio, la condanna per essere testimoni


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 Sandra Amurri








di Aaron Pettinari

In un Paese come quello italiano ritenuto, secondo il rapporto dell'associazione Reporter sans frontieres, al settantatreesimo posto nel Mondo per la libertà di informazione, ci vuole coraggio per essere giornalisti. E' proprio vero, soprattutto oggi che la stampa viene messa alla berlina, in particolare da una certa politica che vorrebbe porre un nuovo freno a quel diritto di informare e di essere informati sancito dall'Articolo 21 della nostra Costituzione. In principio fu “legge bavaglio”, poi ddl Intercettazioni, quindi l'utilizzo delle “querele temerarie”, diventate sempre più uno strumento di intimidazione preventiva con richieste di danni penali e civili e accompagnate dalla minacce di risarcimenti milionari, che vengono effettuate allo scopo di indurre alla censura o all'autocensura. Poiché non c'è mai limite al peggio in Parlamento si è tornati a discutere una nuova legge sulla diffamazione che, con la scusa di levare il carcere, tende ad introdurre norme pericolose e di difficile applicazione in materia di rettifica, di diritto all’oblio, di entità delle sanzioni pecuniarie. Ma c'è un altra cosa che chiunque voglia intraprendere la carriera del giornalista deve sapere (anche se può anche essere rivolto ad ogni semplice cittadino): se in qualche maniera capita di ascoltare dei discorsi su notizie di reato è meglio voltarsi dall'altra parte e far finta di non aver sentito nulla. O almeno è questo “l'insegnamento” che si trae se si guarda quanto accaduto alla collega de Il Fatto Quotidiano, Sandra Amurri.
Nei giorni scorsi il Tribunale di Roma ha emesso una sentenza che di fatto dà torto alla giornalista che aveva querelato l'ex politico della Dc Calogero Mannino, per insulti a mezzo stampa. Una vicenda che parte da lontano, nel dicembre 2011, quando la stessa Amurri si è trovata ad assistere casualmente ad un dialogo tra l'onorevole Calogero Mannino (all'epoca esponente Udc) e l'ex democristiano Giuseppe Gargani, riconosciuto solo in un secondo momento tramite il telefono cellulare. Un episodio che la stessa giornalista ha poi descritto sulle colonne de Il Fatto Quotidiano il 10 marzo, dopo aver già verbalizzato tutto ai magistrati di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-mafia. Scrisse allora la Amurri: “Sono circa le 12,30 di mercoledì 21 dicembre quando arrivo alla pasticceria Giolitti in via degli Uffici del Vicario, a due passi da Piazza del Parlamento, dove ho appuntamento per ragioni di lavoro con l’onorevole Aldo Di Biagio di Fli. Entro, ma non lo vedo. La voglia di accendere una sigaretta supera anche il freddo pungente. Esco. Mi siedo a un tavolino e ordino un cappuccino”. Quindi proseguì nella sua ricostruzione: “Poco dopo vedo arrivare, a passo lento, l’onorevole Calogero Mannino in loden verde, in compagnia di un signore dai capelli bianchi, occhiali, cappotto scuro taglio impermeabile e in mano un libro e dei fogli. Non so chi sia. I due stanno parlando. E continuano a farlo fermandosi in piedi accanto al mio tavolo. Mannino, che mi dà le spalle, dice con tono preoccupato e guardandosi più volte intorno sospettoso: ‘Hai capito, questa volta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di
Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello… il padre… di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione’”. Su questi fatti la giornalista è stata già sentita al processo in corso a Palermo sulla trattativa Stato-mafia che vede imputato proprio Mannino, assieme ad altri (per l'ex Dc si procede con il rito abbreviato) con l'accusa di “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario”, aggravato dall’articolo 7 (cioè dall’intenzione di favorire Cosa Nostra). Una testimonianza, la sua, che rappresenterebbe un ulteriore tassello di quel “mosaico di verità” su cui si sta cercando di far luce e che è stata ribadita anche in aula sotto giuramento. E di quell'incontro alla pasticceria Giolitti hanno poi parlato al processo sia lo stesso Gargani (questi senza confermare però il contenuto della conversazione) che Aldo Di Biagio, il quale ha testimoniato di aver incontrato la giornalista del Fatto Quotidiano alla sua uscita dal bar Giolitti, e di esser stato messo al corrente di tutto ciò che la stessa aveva appena sentito dai due politici. Riscontri che danno ulteriore valore alla testimonianza.
Di fronte al racconto della Amurri l'onorevole Mannino replicò coprendola di insulti su diversi mezzi d'informazione: “delirio di una mitomane”, “spia”, “agente volontario in servizio della Stasi in Germania o del Kgb nell’Urss”, “il parto di una fantasia eccitata”, “menzogna organizzata”. Ovviamente la collega fece causa ma il giudice di Roma, anziché intervenire sulle pesanti affermazioni espresse da Mannino di fronte ad un fatto che è comunque oggetto di un processo a Palermo e su cui si dovrà esprimere una corte d'Assise, ha condannato la Amurri a pagare 15mila euro di spese legali. Non solo. Nella motivazione della sentenza si scrive che gli insulti di Mannino sono “espressioni riconducibili all’esercizio del diritto di critica... proporzionate e strettamente collegate alle accuse mossegli nell’articolo” e “all’indebita interferenza della giornalista in una sua conversazione privata”. La cronista, secondo il giudice, ha quindi “abusivamente origliato il colloquio” in violazione della privacy. Su questo punto, su Facebook, la stessa Amurri ha commentato: “Definendo la conversazione 'abusivamente origliata' all'interno e, non casualmente mentre ero seduta a bere una cappuccino al tavolo esterno, dove mi trovavo già quando i due sono arrivati e si sono fermati a parlare accanto a me da dove era impossibile non ascoltare” suona come un “messaggio preciso: occhio a fare il proprio dovere civile e quello di informare, perché sarai condannato a pagare e perché, se dici la verità, è un 'diritto di critica' sacrosanto essere infangato”.
E' questo, oggi, il prezzo che si paga, o si rischia di pagare, per non voltarsi dall'altra parte e non aver fatto finta di niente.

fonte:    http://www.antimafiaduemila.com/cronaca/sandra-amurri-oltre-il-bavaglio-la-condanna-per-essere-testimoni.html

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